mercoledì 11 luglio 2007

gente di strada #1

Infilandoti nel ventre della città impatti nell'essenza delle cose. Non fermandoti alla superficie ma scavando, scavando e ancora scavando, i tuoi occhi vedranno l'anima dei luoghi. Tra le case, le strade, gli slarghi, e i panorami inconsueti trovi la vita, non solo quella che hai quotidianamente vissuto, ma la vita degli altri, quella che forse hai dimenticato di vivere. C'é della gente semplice che ha un cuore grande, che porta dentro di sé l'innata dote dell'accoglienza, la felicità datagli solo dall'averti incontrato, gente che ti apre le porte della sua casa dicendoti che quella è anche casa tua, o gente che con una saluto o una chiacchiere ti fa sentire di conoscerla da un'eternità. E' questa la forza della nostra storia, il pilastro sul quale dovremmo fondare il nostro essere, eppure non abbiamo mai avuto la curiosità di incontrarli. Forse per molto tempo ci siamo dimenticati di loro. Ma loro non portano rancore per questa dimenticanza. Loro non si sono dimenticati di noi. Loro ardono dal desiderio di un confronto, di un dialogo, di un'orecchio teso a sentire le parole che hanno da dire. Splendida realtà, questa! In poche ore impari quello che non hai imparato per anni: l'umiltà dell'ascolto. E il tuo essere giovane ti gratifica, ma non per la pura velleità della giovinezza stessa, ma per la possibilità di crescita che questi incontri ti hanno dato, per la consapevolezza di poterteli portare dentro per ancora molti anni, facendoli saldo patrimonio del tuo essere uomo. Ci hanno emozionato, ci hanno fatto ridere il cuore e per questo li ringraziamo. Ringraziamo "zì Micuzzo Stabile" e "nonna Lina Lo Polito". Uomini e donne di altri tempi ma in fondo più contemporanei di noi..."e questa notte questa città mi sembra bellissima".
Le foto sono di Salvatore Dessì e Armando Garofalo.
Salvatore Dessì & Armando Garofalo

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Ecco finalmente qlk foto ke rende giustizia a castrovillari... le tradizioni, la gente ke vive da tempo nella civita, il panorama.....

Anonimo ha detto...

grazie ancora salvatore e armando. Grazie per le parole che avete scritto, mi avete fatto emozionare, grazie per aver fatto incotrare anche me " zi micuzzo stabile" e la signora lina, e grazie per la genuinitá delle parole che avete scritto, hanno raggiunto il mio cuore, per questo grazie di cuore. Abbattiamo questo isolamento e questo silenzio.
grazie
Pace Giovanni

marta ha detto...

"Se si vuole ricominciare a pensare il sud sono necessarie alcune operazioni preliminari. In primo luogo occorre smettere di vedere le sue patologie solo come la conseguenza di un difetto di modernità.
Pensiero meridiano vuol dire fondamentalmente questo: restituire al sud l'antica dignità di soggetto del pensiero, interrompere una lunga sequenza in cui esso è stato pensato da altri. Tutto questo non vuol dire indulgenza per il localismo, quel giocare melmoso con i propri vizi che ha condotto qualcuno a chiamare il sud un inferno.
Al contrario un pensiero meridiano ha il compito di pensare il sud con maggior rigore e durezza, ha il dovere di vedere e combattere la devastante vendita all'incanto che gli stessi meridionali hanno organizzato delle proprie terre...
[...]
Il pensiero meridiano è l'idea che il Sud abbia non solo da imparare dal Nord, dai Paesi cosiddetti sviluppati, ma abbia anche qualcosa da insegnare e quindi il suo destino non sia quello di scomparire per diventare Nord, per diventare come il resto del mondo. C'è una voce nel Sud che è importante che venga tutelata ed è una voce che può anche essere critica nei riguardi di alcuni dei limiti del nostro modo di vivere, così condizionato dalla centralità del Nord-Ovest del mondo. Io credo che il Sud debba essere capace di imitare, ma anche di saper rivendicare una misura critica nei riguardi di un mondo che ha costruito sull'ossessione del profitto e della velocità i suoi parametri essenziali.
[...]
Bisogna essere lenti come un vecchio treno di campagna e di contadine vestite di nero, come chi va a piedi e vede aprirsi magicamente il mondo, perché andare a piedi è sfogliare il libro e invece correre è guardarne soltanto la copertina. Bisogna essere lenti, amare le soste per guardare il cammino fatto, sentire la stanchezza conquistare come una malinconia le membra, invidiare l’anarchia dolce di chi inventa di momento in momento la strada.

Bisogna imparare a star da sé e aspettare in silenzio, ogni tanto esser felici di avere in tasca soltanto le mani. Andare lenti è incontrare cani senza travolgerli, è dare i nomi agli alberi, agli angoli, ai pali della luce, è trovare una panchina, è portarsi dentro i propri pensieri lasciandoli affiorare a seconda della strada, bolle che salgono a galla e che quando son forti scoppiano e vanno a confondersi al cielo. È suscitare un pensiero involontario e non progettante, non il risultato dello scopo e della volontà, ma il pensiero necessario, quello che viene su da solo, da un accordo tra mente e mondo.

Andare lenti è fermarsi su un lungomare, su una spiaggia, su una scogliera inquinata, su una collina bruciata dall’estate, andare col vento di una barca e zigzagare per andar dritti. Andare lenti è conoscere le mille differenze della propria forma di vita, i nomi degli amici, i colori e le piogge, i giochi e le veglie, le confidenze e le maldicenze. Andare lenti sono le stazioni intermedie, i capistazione, i bagagli antichi e i gabinetti, la ghiaia e i piccoli giardini, i passaggi a livello con gente che aspetta, un vecchio carro con un giovane cavallo, una scarsità che non si vergogna, una fontana pubblica, una persiana con occhi nascosti all’ombra. Andare lenti è rispettare il tempo, abitarlo con poche cose di grande valore, con noia e nostalgia, con desideri immensi sigillati nel cuore e pronti ad esplodere oppure puntati sul cielo perché stretti da mille interdetti. Andare lenti è ruminare, imitare lo sguardo infinito dei buoi, l’attesa paziente dei cani, sapersi riempire la giornata con un tramonto, pane e olio. Andare lenti vuol dire avere un grande armadio per tutti i sogni, con grandi racconti per piccoli viaggiatori, teatri plaudenti per attori mediocri, vuol dire una corriera stroncata da una salita, il desiderio attraverso gli sguardi, poche parole capaci di vivere nel deserto, la scomparsa della folla variopinta delle merci e il tornar grandi delle cose necessarie. Andare lenti è essere provincia senza disperare, al riparo dalla storia vanitosa, dentro alla meschinità e ai sogni, fuori della scena principale e più vicini a tutti i segreti.

Andare lenti è il filosofare di tutti, vivere ad un’altra velocità, più vicini agli inizi e alle fini, laddove si fa l’esperienza grande del mondo, appena entrati in esso o vicini al congedo. Andare lenti significa poter scendere senza farsi male, non annegarsi nelle emozioni industriali, ma essere fedeli a tutti i sensi, assaggiare con il corpo la terra che attraversiamo. Andare lenti vuol dire ringraziare il mondo, farsene riempire. C’è più vita in dieci chilometri lenti e a piedi che in una rotta transoceanica che ti affoga nella tua solitudine progettante, un’ingordigia che non sa digerire. Si ospitano più altri quando si guarda un cane, un’uscita da scuola, un affacciarsi al balcone, quando in una sosta buia si osserva un giocare a carte, che in un volare, in un faxare, in un internettare. Questo pensiero lento è l’unico pensiero, l’altro è il pensiero che serve a far funzionare la macchina, che ne aumenta la velocità, che si illude di poterlo fare all’infinito. Il pensiero lento offrirà ripari ai profughi del pensiero veloce, quando la macchina inizierà a tremare sempre di più e nessun sapere riuscirà a soffocare il tremito. Il pensiero lento è la più antica costruzione antisismica.

Bisogna sin da adesso camminare, pensare a piedi, guardare lentamente le case, scoprire quando il loro ammucchiarsi diventa volgare, desiderare che dietro di esse torni a vedersi il mare. Bisogna pensare la Misura che non è pensabile senza l’andare a piedi, senza fermarsi a guardare gli escrementi degli altri uomini in fuga su macchine veloci. Nessuna saggezza può venire dalla rimozione dei rifiuti. È da questi, dal loro accumulo, dalla merda industriale del mondo che bisogna ripartire se si vuole pensare al futuro. I veloci, i progettanti, i convegnisti, i giornalisti consumano voracemente il mondo e pensano di migliorarlo. La lentezza sa amare la velocità, sa apprezzarne la trasgressione, desidera anche se teme (quanta complessità apre questa contraddizione !) la profanazione contenuta nella velocità, ma la profanazione di massa non ha nulla della sacertà che pure si annida nel sacrilegio, è l’empietà senza valore, un diritto universale all’oltraggio. Nessuna esperienza è più stolida della velocità di massa, della profanazione che non si sa."

(Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza)

Anonimo ha detto...

Molto vera e bella l'idea di "avvicinarsi ai nostri nonni" che credo essere in assoluto l'essenza, l'autenticità e l'umiltà intatta e non falsata di un tempo.... custodi di cose andate perdute... maestri di vita, di insegnamento e di ispirazione per noi giovani.... complimenti.... noto che cresce in positivo di giorno in giorno il percoso da voi intrappreso....