mercoledì 11 luglio 2007

interferenze #1

Cari Armando e Salvatore a cari amici del blog,
dopo un lungo esilio sono tornato a far risentire la mia voce: questa volta non più su una polverosa cellulosa, bensì su un blog: ah cosa vuol dire la globalizzazione e che effetti congiuntivi riflette sulla comunicazione! Non pensavo, nella mia vita, di scrivere su un blog. Sapete, in tutti questi anni, ho pensato che se avessi ricominciato a riscrivere qualcosa, avrei dovuto sforzare, per l’attesa di tutti questi anni, le mie meningi e la mia materia grigia nel ricordare il punto di interruzione, ossia il momento effettivo in cui il mio discorso si è troncato: allo stato attuale ancora adesso non riesco a ricordare, perché l’addio non era stato programmato. In una sera di aprile sono stato costretto a fare le valigie ed a lasciarvi soli nella palude, al di la del guado. A casa mia erano arrivati due uomini, di cui uno era un uomo magro, aveva le mani sudate, una valigia di ciondoli e un foglio di via (Faber). Dopo quel giorno con una valigia in mano ho dovuto chiedere asilo, non politico ma giornalistico. L’unica nazione disposta ad accogliere la mia penna è stata Cuba, con molti se e qualche ma. Mentre stavo per arrivare a Cuba, a bordo di un savoia marchetti, mi giunge la notizia che il mio (benefattore) Castro, aveva seri problemi di salute, e non poteva accogliermi fino a data da destinarsi. Il potere era stato trasferito nelle mani di Raul, il fratello di Fidel. Siccome il mio rapporto con Raul, non è mai stato troppo amichevole per via di una jinetera, mi viene optata la possibilità di proseguire per Caracas, lì mi attendeva un pronipote di Simon Bolivar, un certo Hugo Chiavez Frias. A Caracas sono rimasto per quasi due anni, fino a che Hugo decise di chiudere l’unica televisione a lui invisa, essendo opposta alla sua politica, al fine di proiettare la mia carriera dietro il video. Ho capito allora che il Frias aveva dato troppa importanza a quelle casse di rhum stipate nel patio del mio alloggio ed allora sono rientrato in Italia.
Ho deciso di vivere a Milano, perché un sindaco peggio della Moratti non lo si trova in nessuna parte del mondo neanche a pagarlo, i suoi curricula nelle vesti istituzionali hanno soventemente esplicitato dei flop: da Direttore della Rai a Ministro della Pubblica Distruzione. Alla fine dato che aveva distrutto la dignità dell’ istruzione e dei professori con una sua riforma azzardata sulla scuola gli è stato offerta la candidatura a sindaco, sotto la madonnina, dal portatore nano della democrazia, nella città oramai povera di ricchezza. In questo modo ho preparato i miei anticorpi a sopportare altre grosse nefandezze, tra cui la Juventus in serie B e la campagna di marketing asfissiante dell’ Inter del filantropo Moratti (sempre loro) che la etichettava dapprima come la squadra degli onesti, ed a fine anno come la squadra vincitrice dello scudetto degli onesti. Sono arrivato fino al punto di tifare Milan il giorno del 20 di maggio, per non vedere le lugubri sfilate degli onesti interisti.
Un giorno mentre passeggiavo per le macerie di Sesto San Giovanni, nelle fabbriche e nei capannoni dimessi, oramai prede di bande di extracomunitari che cercano spazio nella moltitudine del mondo, mi squilla il telefonino e sento una voce nota. Era Luvodico il Moro che con voce squassata e greve, mi avverte che aveva stravinto le elezioni contro la duchessa di Langeais. Continua la conversazione estrapolando dati e proiezioni elettorali da manuale cancelli, e conclude chiedendomi se fossi interessato a partecipare alla festa delle acciughe marinate nella zona del livatello e della fattibilità di quel progetto, tanto osannato al suo primo manifesto elettorale, relativo all’implementazione di una seria di condizionatori d’aria all’angolo via Roma, corso Garibaldi al fine di abbattere la canicola che affligge gli anziani fedeli alle passeggiate delle 14.10.
In effetti all’ordine del giorno, come grana post elettorale la cittadinanza operosa ed agonizzante, lasciata in un asperrimo stato di oblio, usciolando i consigli degli ultra settantenni, frantumi dalla società del nord, aveva veicolato il dibattito pubblico sui lampioni capestro, marchio infame al paesaggio. I lampioni capestro, artatamente avevano addirittura svilito le pendenze della sede pedonale, contribuendo per il loro peso specifico, superiore a quello di una motonave battente bandiera nigeriana, a negare ai discendenti di un noto barone locale, tal Saraceno Evarait della casata dei Fieschi, il possesso di un ulivo secolare. L’Ulivo secolare, quindi, improvvisamente era caduto con tutte le radici, nel fondo dell’Ing. Filetto della casata degli Spinazzola. In pillole era successo che: I lampioni capestro, avevano irrobustito la spinta delle placche continentali antartiche, che a sua volta avevano ripercosso la loro spinta, per tramite l’anticiclone, sul continente africano e sulla Sicilia, e ciò aveva scorato una faglia secolare della zona delle Vigne. Questa massa critica aveva sconquassato l’intero catasto agricolo, riuscendo a fare in un sol colpo quello che la riforma agraria di Fausto Gullo, non era riuscita a fare nel dopoguerra. A render critici i rapporti diplomatici di Ludovico il Moro con l’intellighenzia internazionale, tralignava il fatto che l’ex candidato alla Casa Bianca e ora ambientalista Al Gore aveva dimostrato che i lampioni avevano determinato lo sfinimento di un importante arteria petrolifera dell’Arabia Saudita con conseguenti minacce in Web dei martiri di Al Acsa di attentati contro il maggior monumento cittadino: la vasca di acqua sulfurea ghiacciata dove venivano messi a mollo i meloni d’acqua della Pietà. A questo punto l’unico escamotage possibile era quello di occultare la destinazione d’uso dei lampioni per eliminare il nesso e quindi la causa: un avvenente assessore aveva paventato l’alternativa di truccare i lampioni in modo tale da esporli come patibolo dei ragazzini-fantoccio di Cattelan. Gli rispondo che l’unica reale alternativa era quella di chiamare Aldo Manuzio ex candidato sindaco di Castrovillari, ora nascosto in un eremo del Pollino per paura della ritorsione castrista, e di converso realizzare il suo famoso piano di placche missilistiche incollate a qualsiasi cosa tramite un pò di das rinforzato e quindi spararli su marte: lui era un maestro in quanto in passato aveva fatto volare le lavatrici. A questo punto lui mi incalza e mi rassicura dicendo: “Abbiamo vinto noi e tutto si può fare, sempre se è nel lecito”. Mi ricorda le parole di un noto Senatore democristiano che durante un comizio elettorale aveva promesso ai miei concittadini di portare il mare a Tor delle Minnole.
P.S.: Ho fatto un incubo quando mi trovavo a Caracas, ho sognato che l’ex governatore della Calabria, è stato nominato dal precedente governo nel board dell’autorità che governa la tutela della Privacy, e che allo stato attuale ricopre la figura di vice presidente. Per favore ditemi che era solo un brutto sogno!
Gianluigi Messina alias Il Vate della Daunia

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao vate,
sono giovanni, cio che hai scritto è irresistibile e ora mi va di sottolineare solo un aspetto che abbraccia la tua cara juventinità. Conosco i tuoi vaticini e so che la metafora filosofica è il tuo pane quotidiano da sempre, ma da quando c'è stato il terremoto calciopoli notavo quanti juventini siao diventati filosofi e ammanti dei tarocchi. Uno juventino prima lo incontravi in branco per le strade a far ssfilate ..ora lo puoi trovare su di un promontorio a scrutare l'orizzonte e parlare di kant e ragion pure, imprecando il dio delle sim, quindi attento a non confonderti in questa corrente di neofiti filosofi e amanti dei tarocchi e dei presagi sulle altrui venture e sventure. Per il resto un bel sorriso per un amico.

giovanni

Anonimo ha detto...

fantastico

Anonimo ha detto...

caro anonimo dalle tue parole traspare chiara la tua fede per gli onesti del signor moratti. non è questione di salire su un eremo e restarci o sendere giù predicando pace e purezza. rileggenendo il passato la qualifica onesti non si confa all'altra sponda milanese, non di arcore: una volta nel lontano 1910 la pro vercelli, squadra allora che vinceva un titolo nazionale dopo l'altro, doveve giocare la finale scudetto con l'internazionale, così si chiamava la squadra fino all'avvento dell'uomo nero, ma aveva i giocatori impegnati nel servizio militare. chiese allora di rinviare l'incontro, ma gli altri non accettarono. così l'internazionale vinse il suo primo titolo. poi non dimentichiamo non i passaporti o in ultimo le fideussioni, di un tale mago che dava ai giocatori delle pilloline con il caffè, come racconta ferruccio mazzola, il fratello di sandrino, in un suo libro. l'onestà è un concetto ameno per chi vuole apparire bello e bravo con un socio truffaldino che controlla la telefonia.

Anonimo ha detto...

caro anonimo,
si sono interista e di fatti ne ricordo anche io ma davvero non mi importa di cominciare con discussioni da bar, sinceramente giá la nostra citta vive sul bar, dobbiamo costruire anche un bar virtuale sul quale appoggiarci???
se vuoi fai pure...Andrea un caffe al signore...

Anonimo ha detto...

il bar può essere un luogo positivo di crescita e di confronto. può essere solo un luogo come un altro, il bar virtuale lo ha già costruito benni ospra e sotto il mare. mi dispiace comunque deluderti, scusa se ti do del tu, ma io il caffè lo prendo a casa, non frequento il bar e frequento poco le panchine, soltanto che guardo, sento, leggo e ricordo. ti ringrazio comunque per il caffè.

Anonimo ha detto...

scusami per la mia mia tardiva risposta sono tornato a per pagare il caffe:)

Anonimo ha detto...

ti ringrazio per il caffè e pensiamo ad altro, ci ritroveremo come dice il poeta contemporaneao di zocca davanti ad un negroni la prossima estate.

Anonimo ha detto...

scusate se il problema oltre al caffè è sportivo vi propongo un bell'incontro per inter-juve, naturalmente al bar!!! Almeno ve la giocherete in campo!