L’etnologo ed antropologo francese Marc Augé definisce i nonluoghi, in contrapposizione ai luoghi antropologici, tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici. Fanno parte dei nonluoghi sia le strutture necessarie per la circolazione accelerata delle persone e dei beni (autostrade, svincoli, stazioni, aeroporti, eccetera), sia i mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali, i campi profughi. Spazi, cioè, dove moltissime individualità si incrociano senza entrare in relazione…triste, eh? Eppure è così, pensateci bene: quante volte vi siete trovati in un autogrill, oppure in una stazione ferroviaria, e intorno a voi, pur essendoci decine, o forse, migliaia di persone, non avete mai proferito parola con nessuna di esse, o, ancor peggio, le avete completamente ignorate? E’ questa la dura legge dei grandi numeri della società della surmodernità.
Eppure, guardate bene, non ci vogliono poi tanti numeri per generare un nonluogo.
Infatti, la condizione specifica affinché esso si manifesti è la provvisorietà dello spazio fisico, determinata dal passaggio repentino di tante individualità, e che non ha il carattere della stanzialità, o quello dell’identificazione storica, o antropologica, o relazionale con lo spazio stesso. Sembra difficile da comprendere, ma non lo è, basta pensare all’esatto contrario di un nonluogo. E allora, se pensate ad una piazza di un bel centro storico italiano vi rendete subito conto che quella, pur essendo attraversata da decine e decine di persone, non è un nonluogo, perché in essa si manifesta quel senso di identificazione con la storia, di caratterizzazione individuale e di relazione con gli altri…in essa ci si ritrova, vi si parla, vi si canta, vi si balla, vi si mangia, si è, insomma, collettività appartenente ad uno stesso spazio fisico, luogo per l’appunto.
Ebbene, durante una delle nostre oramai consuete passeggiate cittadine, abbiamo trovato un nonluogo e lo abbiamo impressionato con il nostro occhio digitale: l’autostazione, posta in una parte non poi così periferica della città, anzi. Nonostante essa non sia l’aeroporto di una metropoli, né tanto meno il terminal bus di Milano Centrale, si dichiara precisamente al loro stesso modo: un nonluogo, appunto.
Non crediamo che sia onorevole per una città civile avere spazi alienanti ed alienati, così poco rintracciabili nella memoria collettiva come ambiti di benessere sociale. Crediamo, anche, che una causa determinante di un effetto così poco gradevole, sia anche, e soprattutto, dovuto al fatto che la sua condizione, fisica, estetica, e funzionale, non sia delle migliori, se non addirittura, tra le peggiori.
Forse è il caso che su problematiche del genere si debba sempre e comunque mantenere uno sguardo attento e non superficiale.
Salvatore Dessì & Armando Garofalo