Cari compatrioti della lussureggiante Castrovillari, sono ormai cinque mesi che non trasmetto nulla sul blog e devo dire che dopotutto non mi siete mancati più di tanto, meglio esser coerenti che deficienti. L’estate e l’autunno infatti sono già finiti e tra non molto passerà anche l’inverno per poi caricare le batterie per la raggiante primavera. L’altro giorno mi sono trovato di passaggio nel borgo: quante cose ho visto cambiare, quanti premi ricevere per gioco a gente e cittadini qualunque da parte di diari pittoreschi, quanti segnali stradali sono mutati e quanti cantieri sono stati chiusi, quante rotatorie terminate e quanti alberi secolari abbattuti. Ho visto mura cadere e vecchie arene cinematografiche diventare parcheggi a pagamento: d’altronde potevo aspettarmi di peggio, basta relativizzare la parola peggio in meglio ed il significato seppur a livello escatologico, ma non a livello empirico, cambia. In ogni modo, passate le feste siete già un po’ stressati, per questo rinuncio a far da cassandra e turlupinatore. Questo fine settimana è precisamente il giorno di sabato, ho dovuto assaporare il boccone amaro del pareggio della mia Juve con il Catania, consapevole comunque che l’arbitro avrebbe pensato a far vincere i cartoneros a Siena inventandosi l’ennesimo rigore. Ma, forse è meglio che continuino a vincere gli spioni nerazzurri, altrimenti tristemente ritorneremo con la tiritera degli scudetti degli onesti e dei ladri juventini. Ad arricchire le loro prestazioni, si accosta sistematicamente l’aplomb del loro presidente- filantropo il quale è talmente etico nei suoi movimenti intrisi di accreditamento reputazionale, che per ripianare i bilanci della sua corazzata, spinge in su il prezzo del barile, oltre a renderli più belli edulcolorandoli quanto basta.Sicuramente questo cappelletto iniziale accenderà le polemiche calcistiche da parte dei supporter dei cartoneros, quisquilie queste utili a condire il discorso con un pò di salsa. Adesso invece torniamo a parlare dei fatti nostri: anzi dei fatti vostri, io sono in esilio o al confino come meglio credete.Tanto tempo fa avevo accennato qualcosa sui lampioni capestro che con dovere di cronaca testimoniai, con prove documentate, quello che tali bastioni avevano cagionato alla struttura planetaria contribuendo al pari di altri fattori ad alterare il clima dell’intero pianeta. Ebbene adesso cari campesinos, sono riuscito a svelare un altro aspetto importante che per la sua proprietà di essere esotico ed arcano, non riesce a testimoniare la reale portata e quindi la fatalità del risultato. Alcuni burloni tre mesi fa, accostarono a tali manufatti un carattere lugubre poichè gli oggetti di cui sto parlando, tanto somigliano a delle tombe; altri invece, di dote più ingegnosa e dal carattere arguto, ne illustravano le ragioni, affiancandone motivazioni economiche, dovute ad un più rapido turnover degli astanti, poichè all’occhio umano tali costruzioni, essendo privi di spalliere, deturpavano la pigra seduta. Per raccontarvi la storia ho poggiato le mie tesi sulla storiografia della nostra città e della nostra regione, mutuando accurate ricerche effettuate da storici e lasciati agli archivi dell’accademia di Brera in Milano.Al fine di far orientare il vostro senso storico, consegno alla vostra mente due date che, per il prosieguo della storia, dovete tener sempre presenti: il 410 d.c. ed il 1944.La nostra storia parte quindi da molto lontano (ah, un’altra raccomandazione, quello che vi dico non spifferatelo ai quattro venti, la nostra città, solo con il passaparola, rischierebbe di diventare preda e carne da macello per i numerosi tombaroli presenti nella zona) e inizia con tutti quegli avvenimenti che determinarono la caduta dell’impero romano, ossia le invasioni barbariche. Nel 410 d.c. Alarico, re dei Goti, aiutato dai suoi manutengoli che gli aprirono le porte di Roma, il 24 agosto di quell’anno aggredì con il suo esercito la prima città dell’Impero, mettendo al contempo le mani su enormi ricchezze, fra le quali c’era una parte del tesoro del tempio di Gerusalemme distrutto da Tito Vespasiano. Dopo tre giorni di saccheggio, Alarico lasciò Roma pieno di tesori e con molti prigionieri al seguito. Dopo aver saccheggiato Roma, i Goti si spinsero verso il sud d’Italia, per trascorrere l’inverno nel Bruzio e cioè nella parte medio-superiore della Calabria. L’obiettivo ultimo di Alarico era quello di attraversare lo stretto e giungere in Sicilia per razziare l’intera isola. Purtroppo, per i Goti, Alarico muore nel 409 d.c. di morte improvvisa: secondo alcuni storici morì di malaria, punto dalla famosa zanzara, nei pressi di Sibari. I Goti, da esperti razziatori che erano, vollero preservare le spoglie del loro re, e in questo modo deviarono, grazie al lavoro dei prigionieri il fiume Basento dal suo alveo originale, al fine di destinare il letto del fiume a sepoltura perenne di quelle possenti ossa. Successivamente per far perdere le tracce del luogo della sepoltura, restituiscono al fiume l’originario corso e uccisero tutti i prigionieri affinchè nessuno potesse conoscere il luogo. La leggenda narra che insieme ad Alarico siano stati sepolti, al fine di difendere i tesori, le migliori canaglie del suo esercito. Nel 1944, Castrovillari fu colpita da un enorme calamita naturale: la grande alluvione, quella che le nostre nonne ricordavano poichè, secondo racconto popolari, alcuni videro San Francesco di Paola cavalcarne le onde e miracolare la città. Quell’alluvione sovvertì i distinti alvei dei fiumi limotrofi, confondendoli gli uni agli altri: il Coscile esondò nel Raganello, il Crati esondò nel Basento e nell’Esaro e tantissimi altri affluenti contribuirono a sovvertire le linee originali dei propri letti di scorrimento. Al rientro nei propri alvei, i fiumi confusero le proprie tracce originali e rimasero gonfi per molti anni a venire. Queste esorbitanti esondazioni, furono la causa della rimozione della camera funerea di Alarico e dei suoi guerrieri, che secondo il notabilato locale, giunse fino a sotto le gole del Coscile nei pressi di una chiesetta in zona Santa Venere. Molti anni dopo, in quella stessa località più o meno dopo gli anni novanta del precedente secolo, alcuni pastori atti ad effettuare la transumanza delle bestie, notarono delle lavandaie, le quali nel letto del fiume coscile, avevano rinvenuto questo enorme golam dove si trovava la famosa camera funerea. Quello era l’anno della grande siccità e della secca del fiume. Poichè le porte della camera funerea erano casellate di anatema secolare rivolto a chi avesse disturbato il lungo sonno del re, i religiosi e i credenti, anni dopo, ne attribuirono le ragioni del pianto sanguineo della statuetta della madonnina. I cafoni e le lavandaie tuttavia pensarono che quell’enorme golam fosse una casa abbandonata da un cittadino di Cosenza dopo il terremoto accorso alla zona Santa Lucia, confondendo l’anatema gotico per un possibile dialetto cosentino della zona di porta piana, famosa per la freschezza dell’acqua di una tipica fontanella comunale e per rispetto dei precedenti padroni, la lasciarono come monumento errante ricoperto di muschio e di limo di fiume. Ma le acque del fiume Coscile, seppure scorrevano lente e placide, non restarono a lungo tranquille. Il letto del Coscile fu sollecitato ulteriormente durante la fine degli anni 90 e durante il nuovo secolo: la ragione era rappresentata dal riammodernamento del Canal Greco, la cui falda acquifera è strettamente collegata al fiume cittadino e dal riempimento del suo letto. Casualità volle che durante lo straripamento della fogna del Canal Greco, la camera funerea arrivò in città e confluì nel raccordo fognario che convoglia le acque nere del centro cittadino: in sintesi, durante i lavori di scavo per la lastrificazione di via Roma, nell’indotto principale, gli architetti e gli ingegneri incaricati dal comune la portarono alla luce, grazie anche all’acume ed allo spessore tecnico di Moscarello del casato Nettuno e dell’addetto comunale a cui i conti quel giorno non tornavano affatto (la base non si trovava con l’altezza) . Il tecnico del comune, avvisato segretamente del rinvenimento, finalmente seppe dare una spiegazione plausibile al mancato assorbimento delle acque reflue e pluviali dai distinti tombini, che tanto aveva colpito la cittadinanza in quegli ultimi anni. Il maniscalco non c’era quel giorno e Ludovico il Moro, con gli occhi strepitanti di luce, penso di dar mandato per l’apertura della porta ad un riparatore di biciclette di Corso Garibaldi: tal Pinuccio Ricciutella che con una tronchesina mozza e qualche cucchiaio usato per rattoppare le camere d’aria, riuscì nell’intento. Nell’aprire la porta, i presenti trovarono quattrodici tombe ben rifinite, con l’assenza di qualsiasi tesoro: anzi trovarono un bigliettino di un precedente sindaco che avvertiva tutti i concittadini che con quei tesori rinvenuti nel passato si era provveduto negli anni ottanta a cementificare tutta Castrovillari e la restante somma era servita ad avviare il primo troncone del progetto per portare il mare a Castrovillari, promesso da un noto politico calabrese che spesso sedeva sugli scranni parlamentari. A quel punto Ludovico il moro, si trovava con un’enorme gatta da pelare: “dare degna sepoltura a quelle quattrodici anime perse”. Durante una riunione segreta, un ingegnere alle dipendenze del comune ebbe la trovata, cioè di far di quelle tombe un valido progetto: inserirle nel riammodernamento urbano della città ed usandole, debitamente rivestite di un marmo di carrara, come panchine per il bivacco cittadino. Purtroppo le maestranze non furono così zelanti da annotare i nomi agli spostamenti, e la loro implementazione nella piazza cittadina fu resa assolutamente anonima. Nessuno sa quindi dove sia stata posizionata quella riconducibile alle spoglie di Alarico. Tuttavia nelle notti di crescente umidità, molti nottambuli perdisonno, ritengono di aver incontrato in un vicoletto sotto via del popolo, il fantasma di Alarico che insieme ai suoi uomini chiedeva dove si trovava il torrione di avvistamento.Perciò buontemponi Castrovillaresi, se doveste un giorno qualsiasi sedervi su quelle fredde panchine, portate rispetto alle lastre di quel marmo, potreste esservi seduti proprio sulla tomba di Alarico.
Gianluigi Messina alias Il Vate della Daunia